Carbon-energy tax e permessi di inquinamento negoziabili nell’Unione europea
Autore: Alberto Majocchi
Data: Ottobre 2011
Nell’Unione europea sembra prevalere l’idea che il problema del riscaldamento globale debba essere affrontato utilizzando sia strumenti di prezzo (carbon tax) sia strumenti di quantità (emissions permits) e che quindi l’Emissions Trading Scheme (ETS) debba essere completato da una carbon-energy tax. Con la carbon-energy tax si otterrebbe un gettito che potrebbe essere utilizzato con l’obiettivo di ottenere, a livello di tassazione invariata, un doppio dividendo attraverso la diminuzione dei contributi per la sicurezza sociale e, quindi, del costo del lavoro, in tal modo creando nuova occupazione.
Sulla base dell’approccio adottato dal Protocollo di Kyoto, ogni Paese deve limitare la quantità di emissioni prodotte sul suo territorio, ma molti Stati trasferiscono le produzioni all’estero e importano i beni di consumo da Paesi con bassi costi del lavoro. In conseguenza, se viene colpita la produzione e non il consumo viene incentivato il carbon leakage verso Paesi che non hanno introdotto un prezzo per il carbonio. Per non incidere sulla competitività e per evitare i carbon leakages delle imprese energy intensive, l’introduzione dell’imposta dovrebbe essere accompagnata da una tassazione alla frontiera pari a quella che grava sulla produzione interna, disegnata in misura tale da non entrare in contrasto con le norme internazionali sul commercio.
I proventi ottenuti grazie alla riforma della direttiva sulla tassazione energetica 2003/96 confluirebbero nel bilancio dell’UE nel quadro di una rinnovata struttura del finanziamento comunitario, come proposto dal Parlamento europeo e dal rapporto Haug-Lamassoure-Verhofstadt.
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