Il piano Juncker: una svolta, ma non basta
Alberto Majocchi
3 Febbraio 2015
Un nuovo indirizzo è emerso recentemente nelle scelte politiche adottate per affrontare la crisi europea. Le riforme dal lato dell’offerta sono considerate ineludibili, ma insufficienti. Mentre gli obiettivi del consolidamento fiscale e della riforma del mercato del lavoro sono importanti nel medio periodo, appare urgente una politica della domanda capace di sostenere la debolezza dei consumi e degli investimenti. Finora la politica monetaria ha rappresentato il solo strumento disponibile per garantire liquidità al mercato e la recente decisione della Banca Centrale Europea di acquistare ogni mese sul mercato secondario fino a 60 miliardi di titoli denominati in euro di qualità medio-alta (investment grade), emessi da governi di un paese membro o da agenzie e istituzioni europee, ha confermato ancora una volta l’importanza del ruolo della sola istituzione di natura federale responsabile della politica economica nell’area euro.
Il piano Juncker rappresenta una svolta in quanto conferma che la nuova Commissione ritiene necessario uno shock fiscale a supporto degli sforzi della BCE per il sostegno degli investimenti. La Commissione concluderà un accordo con la Banca Europea degli Investimenti (BEI) per dar vita a un Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS) e l’Unione fornirà una garanzia per €16 miliardi alla BEI al fine di promuovere le sue operazioni di finanziamento e di investimento. Le risorse finanziarie necessarie saranno trovate riducendo altri stanziamenti nel bilancio europeo. Questa non sembra la strada migliore da seguire. Vi sono due difetti nel piano. In primo luogo, non si mettono sul tavolo risorse addizionali. Inoltre, vi è un problema di governance in quanto la scelta degli investimenti e la distribuzione dei benefici fra gli Stati membri non è una questione tecnica, ma richiedono una scelta politica che non può essere assegnata alla BEI.
Un piano di sviluppo efficace implica che si prelevino nuove imposte e che, su questa base, vengano emessi eurobond. In questo modo si potrebbero finanziare adeguatamente non solo gli investimenti necessari per completare la rete infrastrutturale in Europa, ma anche la produzione di beni pubblici europei (in primis, spesa di R&S, per l’istruzione superiore e per la tutela dell’ambiente) per promuovere un cambiamento strutturale dell’economia europea rafforzando la competitività delle imprese e migliorando la qualità della vita dei cittadini europei. Si tratta dunque di garantire una “adeguata capacità fiscale” all’eurozona, definendo le imposte che possono essere prelevate; di destinare queste risorse nel bilancio a un Fondo per lo Sviluppo e l’Occupazione utilizzabile dai paesi dell’eurozona e di attribuire al contempo alla Commissione il compito di gestire direttamente, sotto il controllo del Parlamento europeo, il piano di sviluppo.
Il prelievo destinato a fornire nuove risorse al bilancio europeo è l’imposta sulle transazioni finanziarie (ITF) dato che, viste le difficoltà di ottenere il consenso di tutti gli Stati membri dell’intera Unione, 11 paesi dell’eurozona hanno già deciso di procedere con una Cooperazione Rafforzata, anche se deve essere ancora raggiunto l’accordo sul principio del paese di emissione o di residenza e sulla tassazione dei derivati. Il gettito dell’imposta, anche se l’aliquota viene fissata a un livello molto basso per non frenare lo sviluppo del mercato finanziario europeo, sarebbe sufficiente per garantire l’emissione di bond con un leva adeguata per raccogliere almeno €100-150 miliardi all’anno. Ma dato che l’ITF è un’imposta nazionale, è necessaria una decisione politica per destinare una parte del gettito al bilancio europeo.
Secondo il piano Juncker il FEIS dovrà essere costituito come un fondo fiduciario all’interno della BEI. Ma se parte del gettito dell’ITF è destinata a un Fondo gestito dalla Commissione, gli Stati membri dovranno essere coinvolti per garantire la cooperazione fra il livello europeo e nazionale: il Direttorato Economico della Commissione dovrebbe quindi essere allargato per includere rappresentanti di livello elevato del Tesoro degli Stati membri in un Direttorato esteso che potrebbe essere chiamato Istituto Fiscale Europeo – come è avvenuto con l’Istituto Monetario Europeo nel percorso verso la creazione della BCE –, primo passo nella direzione di un Tesoro europeo.
Rimangono da considerare due problemi. Il perimetro del piano: il piano Juncker include l’intera Unione. Nella nostra prospettiva il piano di sviluppo dovrebbe riguardare inizialmente soltanto gli 11 paesi della Cooperazione Rafforzata, anche se si può ritenere che tutti i paesi dell’eurozona vi parteciperanno in un futuro ravvicinato. Il primo passo verso un piano di sviluppo efficace è qui concepito come l’iniziativa di un nucleo di paesi, quindi l’idea sottostante è la “Kern Europa” della proposta Lamers-Schaüble nel 1994. Il problema del tempo: nei prossimi mesi si dovrà raggiungere un accordo sulla ITF e il Consiglio europeo dovrà decidere l’assegnazione di una parte del gettito a un Fondo ad hoc all’interno del bilancio europeo per finanziare il piano di investimenti. L’effetto di annuncio sarà immediatamente significativo, rafforzando l’impatto espansivo del Quantitative Easing della BCE, mentre, come previsto dalla proposta della Commissione, l’ITF dovrà entrare in vigore al più tardi all’inizio del 2016.
Ma, data la gravità della recessione e i conseguenti enormi costi sociali, non solo in Grecia, ma anche in Italia, Portogallo e Spagna, e il tempo necessario affinché il piano Juncker dispieghi in misura consistente i suoi effetti positivi sull’economia europea, misure transitorie e straordinarie dovranno essere messe in atto immediatamente per accrescere la capacità finanziaria del FEIS, utilizzando tutti gli strumenti legali che sono attualmente disponibili: a) nell’ambito del Quantitative Easing, la BCE può indirizzare gli acquisti mensili di titoli pubblici verso obbligazioni emesse dalla BEI o altre agenzie europee in misura pari fino al 12% degli acquisti totali; b) contributi finanziari addizionali potranno essere garantiti dagli Stati membri, che potranno altresì co-finanziare, anche attraverso il proprio sistema bancario, singoli progetti già finanziati dal FEIS. Questo co-finanziamento godrà della c.d. investment clause se il tasso di crescita del Pil dello Stato membro è negativo o il Pil rimane ben al di sotto del suo livello potenziale. Sulla base delle nuove regole sulla flessibilità proposte dalla Commissione, questi pagamenti non incideranno negativamente sul rispetto dei vincoli sul deficit o sul debito fissati dal Patto di Stabilità e Crescita.
In un recente rapporto al governo tedesco e francese intitolato “Reforms, Investment and Growth: An Agenda for France, Germany and Europe”, Henrik Enderlein e Jean Pisani-Ferry suggeriscono che sarebbe una buona soluzione per l’Europa promuovere un’adeguata capacità fiscale o, in altre parole, un bilancio per l’eurozona, inclusa la capacità di emettere titoli. Ma essi sottolineano che, anche se questa idea è stimolante per il lungo periodo, questa capacità ora non esiste e non vi è una struttura di governo capace di mettere in atto tale progetto. Dipende anche da noi battersi per rendere possibile questa soluzione ottimale in tempi realisticamente brevi.
* Professore di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Consiglio Direttivo del Centro Studi sul Federalismo