Il PNRR e i rapporti tra livelli di governo
Stefano Piperno
Commento n. 240 - 14 dicembre 2021
Il processo di definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) da parte del Governo italiano – approvato lo scorso luglio dal Consiglio dell’Unione europea, su proposta della Commissione europea – ha visto una scarsa partecipazione da parte dei governi sub-nazionali. Soprattutto le Regioni hanno lamentato il loro mancato coinvolgimento nelle fasi di definizione degli interventi, in contrasto con le indicazioni della Commissione europea e degli stessi Trattati, che individuano nella programmazione multilivello l’approccio corretto per l’elaborazione dei Piani nazionali. Questo non vuole dire, però, che il ruolo dei governi regionali e locali (come quello delle articolazioni territoriali di istituzioni pubbliche nazionali quali le università e le scuole) sarà marginale anche nelle fasi attuative del PNRR, anzi. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima che il valore degli interventi del PNRR la cui realizzazione compete a Regioni ed enti locali oscilli tra circa 66 e 71 miliardi sui 192 miliardi totali disponibili (tra il 35 e il 37 per cento), con un peso superiore al 90 per cento del totale per le due missioni “inclusione e coesione”, e “salute”, dove sono più rilevanti le competenze degli enti decentrati. La presenza di una adeguata capacità amministrativa dei governi sub-nazionali – assai differenziata nelle diverse aree del Paese e tra le diverse classi dimensionali degli enti – diventa così una precondizione indispensabile per il successo del PNRR e per garantirla è stato avviato un programma di nuove assunzioni tecnicamente qualificate, da realizzare in tempi rapidi.
Più in generale, l’attuazione del PNRR sarà una cartina di tornasole sullo stato del decentramento e sulla funzionalità delle relazioni tra livello di governo nel nostro Paese, dopo il periodo euforico del “federalismo fiscale” nel primo decennio del secolo, partito con la riforma costituzionale del 2001 e culminato nella L. 42/2009 e nei suoi primi decreti attuativi. Come noto, si è poi assistito ad un decennio di restrizioni di risorse umane e finanziarie, provvedimenti incoerenti e ritardi attuativi solo parzialmente superati negli ultimi due anni, come risulta in una recente audizione dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio presso la Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale, che offre un quadro esauriente e aggiornato della situazione.
Per il futuro, vi sono almeno due aspetti che fanno emergere la rilevanza dell’assetto delle autonomie regionali e locali per raggiungere gli obiettivi del PNRR. Il primo è riconducibile ai contenuti delle riforme previste nella sezione a ciò dedicata nel piano. Queste sono distinte in quattro tipologie: riforme orizzontali o di contesto (innovazioni strutturali dell’ordinamento d’interesse trasversale a tutte le missioni del piano) riforme abilitanti (interventi funzionali a garantire l’attuazione del piano) riforme settoriali, riforme di accompagnamento (riforme che, seppure non comprese nel perimetro del piano, sono destinate ad accompagnarne l’attuazione). L’ampio ventaglio delle riforme previste coinvolge pressoché tutte le competenze settoriali regionali e locali, a cominciare dagli ambiti della transizione ecologica e digitale e dello sviluppo sostenibile, per non parlare della sanità. Complessivamente, sono previsti 47 interventi legislativi da qui al 2023 e 6 tra il 2023 e il 2026 (quindi coprendo anche la prossima legislatura). Si tratta di un programma che richiederà un pieno utilizzo degli attuali strumenti di confronto e cooperazione tra centro e periferia nella definizione e attuazione delle riforme, ma anche, via via, di verificarne il funzionamento, di potenziarli e di innovarli, per superare possibili strozzature che potrebbero impedire il rispetto temporale delle scadenze previste nel piano. In particolare, bisogna che il sistema di governance molto accentrato del PNRR definito dal D.L. n. 77/2021 – che per i profili intergovernativi fa capo alla Cabina di regia (art. 2) e al Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale (art. 3) – sia ben integrato con l’attuale sistema delle Conferenze.
In questo quadro, stupisce un po’ che l’ultimo provvedimento legislativo di cui è prevista l’approvazione (entro il marzo 2026) sia proprio quello relativo al completamento del federalismo fiscale, nonostante il ruolo rilevante che avranno le Amministrazioni subnazionali nell’attuazione del PNRR. Si tenga conto che gli investimenti infrastrutturali del PNRR che saranno gestiti dai governi sub-nazionali avranno profonde ripercussioni sulle loro spese correnti negli anni successivi e di ciò si dovrà tenere conto nel prevedere gli strumenti per il loro finanziamento nel futuro (anche nella preannunciata riforma fiscale). Uno scadenziario più accelerato sarebbe quindi opportuno.
Il secondo aspetto è legato al fatto che nel PNRR risulta ancora limitata la dimensione territoriale degli interventi previsti. Solo alcuni di essi destinati alle infrastrutture ferroviarie, ai beni culturali in alcune grandi aree urbane e nelle zone economiche speciali hanno infatti un riferimento preciso a livello spaziale nel piano. Molti interventi hanno invece una specificazione settoriale, ma devono essere ancora individuati a livello territoriale, anche se esiste il vincolo di destinare alle regioni del Sud non meno del 40 per cento delle risorse territorializzabili del piano (circa 82 miliardi), per il quale sono stati già sollevati dubbi sulla sua realizzabilità. In parte, la localizzazione sarà decisa direttamente dalle amministrazioni centrali, anche attraverso le loro strutture collegate, come le società in house, o attraverso trasferimenti ad altri soggetti locali. In parte, invece, sarà basata su bandi per le amministrazioni locali, specialmente Comuni, o per soggetti privati. Da quanto sinora emerso nei bandi sinora emessi, la localizzazione degli interventi delle diverse missioni del piano sembra privilegiare i singoli progetti e il loro stato di avanzamento sottovalutando il loro contesto territoriale e le interdipendenze tra le varie politiche settoriali. Bisognerebbe invece che attribuzioni dirette e bandi ministeriali tenessero conto delle specifiche dinamiche socio-economiche e di specializzazione delle diverse aree del Paese per facilitare il raggiungimento degli obiettivi trasversali del piano.
Le Regioni (anche per il forte indebolimento del ruolo delle Province) dovrebbero costituire un punto di riferimento – più di quanto fatto sinora – per promuovere politiche di sviluppo multisettoriali “orientate ai luoghi” nella fase attuativa del PNRR. Tra l’altro, il finanziamento degli investimenti locali dovrà conciliarsi in qualche misura con l’avvio della perequazione infrastrutturale (D.L. n.121/2021), una delle numerose tappe incompiute della L. 42/2009. Sarà quindi importante evitare rapporti solo bilaterali tra Ministeri centrali e singoli soggetti attuatori, specialmente i Comuni, a partire da quelli centrali delle Città metropolitane, quando si tratterà di localizzare gli interventi, superando un’atavica diffidenza di questi verso le Regioni. Potrà aiutare allora, ma senza illudersi che sia sufficiente, l’istituzione (art. 33 del D.L n.152/2021) di un ‘Nucleo PNRR Stato-Regioni’ presso il dipartimento per gli Affari regionali, che fornirà un supporto tecnico per riforme e investimenti, curando l’istruttoria di tavoli tecnici, prestando supporto nella elaborazione, coerentemente con le linee del PNRR, di un “progetto bandiera” di particolare rilevanza strategica per ciascuna Regione, prestando attività di assistenza agli enti territoriali, con particolare riferimento ai piccoli Comuni, e ai comuni insulari e delle zone montane. Potrebbe allora essere utile disporre in futuro di una versione maggiormente “territorializzata” delle politiche del PNRR in parallelo alla sua attuazione, magari in occasione del prossimo DEF e del suo Allegato infrastrutture.
*Collaboratore del Centro Studi sul Federalismo