Per una strategia europea efficace nella COP26
Alberto Majocchi
Commento n. 224 - 6 luglio 2021
Il 14 luglio prossimo la Commissione presenterà il suo pacchetto di proposte (Fit for 55 package) per estendere il campo di applicazione del carbon pricing ai settori che ne sono attualmente esclusi, in particolare per quanto riguarda il trasporto e il riscaldamento domestico. La revisione dell’Emissions Trading System (ETS) farà parte di un pacchetto di leggi sull'energia e sul clima, ma il sistema di scambio dei permessi di emissione di carbonio continuerà a rappresentare lo strumento principale per raggiungere l’obiettivo di una riduzione delle emissioni pari almeno al 55% entro il 2030. Un obiettivo confermato dalla Legge sul Clima (Climate Law), approvata dal Consiglio il 28 giugno scorso, a seguito della posizione favorevole raggiunta a larga maggioranza dal Parlamento europeo il 24 giugno, che trasforma in un obbligo vincolante l'impegno politico del Green Deal europeo per la neutralità climatica dell'UE entro il 2050.
L'Europa si potrà così presentare alla COP26 – che si aprirà a Glasgow il 31 ottobre 2021 e sarà co-presieduta da Regno Unito e Italia – avendo esteso un sistema di carbon pricing a tutti i settori. Nella Climate Law la Commissione propone di estendere l'ETS ai trasporti e al riscaldamento, presumibilmente sulla base di un modello simile a quello tedesco che, con un upstream approach – ossia ponendo l’obbligo di comprare i permessi di emissione a carico dell’importatore o del produttore del combustibile fossile che verrà poi venduto a famiglie e a imprese nel mercato interno –, è sostanzialmente equivalente a una carbon tax, anche se l’imposizione di un prezzo sul carbonio avviene non con il meccanismo di riscossione proprio delle accise, bensì con l’acquisto dei permessi di emissione. In ogni caso, al di là dello strumento adottato, l'importante è far pagare un prezzo anche in questi settori, mentre è imminente una proposta della Commissione sul regolamento LULUCF (Land Use, Land-Use Change and Forestry) per regolare le emissioni e le rimozioni di gas serra dall'uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura, in modo tale che tutte le emissioni pagherebbero un prezzo per l’uso del carbonio. Secondo la proposta della Commissione almeno il 50% delle entrate generate dal sistema ETS esteso ai trasporti e all’efficientamento energetico degli edifici dovrà essere redistribuito alle famiglie con redditi più bassi, tenendo presente che, accanto alla transizione ecologica, anche l’equità sociale appare come uno degli obiettivi prioritari da perseguire con il Green Deal.
La riforma dell'ETS prevede altresì l’eliminazione graduale delle assegnazioni gratuite di permessi di emissione in settori come l'acciaio e la produzione di energia, che dovrebbero essere protetti dal futuro carbon duty riscosso alla frontiera dell'UE. L’adozione di un aggiustamento fiscale alla frontiera, che sarà anch’esso presentato il 14 luglio, è progettata per mettere le aziende dell'UE su un piano di parità con i loro concorrenti, per prevenire il cosiddetto carbon leakage, in quanto le industrie dell’Unione che rientrano nell’ETS rischiano di diventare meno competitive, incentivando così lo spostamento di parte della produzione europea all'estero dove può essere realizzata a prezzi più bassi in assenza dell’imposizione di un prezzo sul carbonio.
Alla COP26, l'Europa dovrebbe così arrivare avendo adottato, in parallelo all’applicazione di un carbon pricing generalizzato, un meccanismo di aggiustamento fiscale alle frontiere, facendo pagare alle merci importate da paesi che non impongono un prezzo sui combustibili fossili commisurato al contenuto di carbonio un ammontare equivalente al prezzo pagato da produttori e consumatori all’interno dell’Unione europea. La proposta politica europea dovrebbe essere chiara ed esplicita, ma potrebbe risultare di non semplice attuazione. Per combattere il cambiamento climatico, è giudizio comune degli economisti che lo strumento più efficace sia un carbon pricing generalizzato. Ma questo obiettivo è difficile da diversi punti di vista, in quanto le condizioni dei paesi partecipanti alla COP sono diverse sia per i livelli di reddito sia per il mix energetico adottato. L’Europa dovrà quindi mettere in campo una strategia fondata sul tentativo di raggiungere nella COP un accordo multilaterale per introdurre un prezzo minimo del carbonio in tutti i paesi del mondo (sulla scia della tassa globale minima sulle imprese proposta da Biden per ridurre la concorrenza fiscale al ribasso, le cui linee sostanziali sono state accettate da 130 paesi nell’ambito dell’OECD).
In realtà, come suggerisce un recente paper dell’IMF, per conseguire progressi sufficienti per stabilizzare il clima è necessaria un'accelerazione dell'azione di mitigazione a breve termine, ma farlo tra 195 parti contemporaneamente si rivela una sfida difficile da vincere. In conseguenza, rafforzare l'Accordo di Parigi definendo un prezzo minimo internazionale del carbonio (International Carbon Price Floor - ICPF) potrebbe accelerare la riduzione delle emissioni attraverso un'azione politica efficace, frenando al contempo la pressione crescente per l’introduzione di aggiustamenti fiscali alla frontiera. L'ICPF dovrebbe fondarsi su due elementi: (1) dovrebbe essere negoziato fra un piccolo numero di paesi-chiave con elevati livelli di emissioni e (2) l’accordo dovrebbe prevedere il prezzo minimo del carbonio che ciascuno di questi paesi si impegna ad attuare.
Questa proposta è realistica e potrebbe fondarsi su un’iniziativa dell’Unione europea che, come detto, a Glasgow avrà le carte in regola per richiedere comportamenti analoghi in materia di carbon pricing da parte degli altri paesi con elevate emissioni di anidride carbonica. D’altra parte, se qualche paese non accetterà la proposta di un ICPF, sarà costretto a pagare il diritto compensativo alla frontiera dell’Unione, con un duplice svantaggio: non potrà sfruttare i minori costi di produzione garantiti dal mancato pagamento sul mercato interno di un prezzo sul carbonio per ottenere un aumento dell’esportazione dei propri prodotti sul mercato europeo e, inoltre, fornirà un’entrata addizionale legata all’imposizione di un prezzo sul carbonio non al proprio erario, bensì al bilancio dell’Unione grazie ai proventi del Border Carbon Adjustment.
Infine, questo pacchetto globale di proposte da parte europea dovrà essere completato con l'attivazione del fondo di 100 miliardi per un'equa ripartizione degli oneri a favore dei paesi più deboli, già promesso dalla COP15 del 2009. Per finanziare questo fondo si potrebbe adottare il Global Carbon Incentive proposto da Raghuram Rajan, che prevede un contributo da imporre ai paesi che emettono più della media mondiale (più di 5 tonnellate pro capite, nella proposta di Rajan) e, con queste entrate, finanziare i paesi con emissioni inferiori alla media. I paesi più poveri potrebbero così essere aiutati a garantire una transizione ecologica che sia non solo efficace, ma anche equa dal punto di vista distributivo, attraverso incentivi agli investimenti per la transizione energetica e misure di sostegno alle classi più deboli.
Con una proposta di questo tipo – carbon pricing generalizzato per tutti i settori, aggiustamento fiscale alla frontiera a carico dei paesi che non aderiscono a una proposta multilaterale per un prezzo minimo del carbonio e, infine, il fondo ipotizzato da Rajan per un'equa ripartizione degli oneri – l'Unione europea potrà presentarsi alla COP26 con un'idea forte e realistica. Su questa base, il nuovo clima creato dall'amministrazione Biden potrebbe favorire un accordo, almeno a livello transatlantico.
*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia e Vicepresidente del Centro Studi sul Federalismo