Le missioni Horizon dell’Ue: l’innovazione al servizio dei cittadini
Olimpia Fontana
Commento n. 215 - 12 aprile 2021
Quando si parla di innovazione bisogna pensare sempre più a processi di cambiamento in modo sistematico. Perché innovare non significa solo introdurre nuovi metodi, sistemi o prodotti, ma anche considerare le implicazioni che tali sviluppi possono avere sulla società. Anzi, significa domandarsi come obiettivi definiti dalla società possono essere perseguiti attraverso l’innovazione. Per usare le parole di Mariana Mazzucato “Some of the greatest innovations of our time have come from the need to solve problems”. Secondo questa visione, l’Unione europea (Ue) dovrebbe definire le proprie policy ispirandosi a quelle “missions” che possono portare un miglioramento nelle nostre vite, con uno sguardo al lungo periodo. Una simile immagine evocativa è stata usata da Ursula Von der Leyen quando ha definito lo European Green Deal (EGD) “our man-on-moon moment”, volendo così imprimere alla questione ambientale lo stesso significato di straordinaria impresa storica che ebbe il progetto americano di portare l’uomo sulla Luna, pur essendo la neutralità climatica obiettivo più ampio e complesso.
A livello globale, sono i Sustainable Development Goals (SDGs), obiettivi per i governi nazionali concordati in sede Onu, a fornire la direzione cui le società devono tendere. Nel contesto europeo, la Commissione ha definito all’interno della cornice di Horizon Europe (il programma per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027) le cinque missioni su cui l’Ue si concentrerà nei prossimi anni. Non c’è solo il contrasto ai cambiamenti climatici, in un’ottica di giustizia sociale, ma figurano anche la lotta contro il cancro, la costruzione di città verdi, la protezione degli oceani e quella dei suoli: un chiaro orientamento verso la protezione del pianeta e il benessere dei cittadini. Per ciascuna area di intervento sono poi definiti target entro il 2030, in termini di vite salvate, mantenimento di ecosistemi, aumento della sostenibilità del nostro stile di vita.
Il successo delle missioni, e in generale di obiettivi tanto ambiziosi, richiederà il realizzarsi di almeno tre condizioni, in misura variabile a seconda del contesto. Innanzitutto, servirà il coinvolgimento dei cittadini, che deve avvenire non solo nella fase di identificazione delle questioni fondamentali per i prossimi decenni, ma anche in quella di implementazione e di valutazione. Un possibile contributo si realizza ricorrendo a strumenti come la citizen science (letteralmente “scienza dei cittadini”). Adottano un approccio collaborativo e dal basso questa disciplina mira a generare processi di cambiamento frutto della co-partecipazione di cittadini, o loro rappresentanti, e accademici e scienziati, al fine di rispondere a bisogni sociali. Da esperienze precedenti condotte nell’Ue in campo ambientale emerge che la citizen science può essere non solo utile per fornire alla scienza dati e informazioni da parte degli utenti, ma può diventare un mezzo per aumentare la partecipazione politica dei cittadini, che diventano parte attiva di un processo di cambiamento politicamente definito.
Un secondo elemento riguarda le modalità di finanziamento. Quando si parla di progetti innovativi, è necessario disporre di un’ampia gamma di strumenti finanziari, a seconda del livello di rischio che ne contraddistingue ciascuna fase. Tra questi, la mancanza di venture capital, cioè capitale di rischio, è uno dei motivi per cui in Europa idee innovative faticano a decollare e tradursi in applicazioni pratiche. Il settore pubblico può fornire quel tipo di finanziamento iniziale per creare nuovi mercati, che possono poi essere ulteriormente sviluppati dal privato.
Una delle novità introdotte da Horizon Europe consiste nella creazione dello European Innovation Council (EIC), con un budget di 10 miliardi di euro per l’intera programmazione. Inaugurato pochi giorni fa dopo una fase pilota, l’EIC si pone l’obiettivo di identificare, sviluppare e implementare innovazioni ad alto rischio, di carattere pioneristico, con un alto impatto sulla società e potenzialmente creatrici di nuovi mercati. Articolato su tre linee di azione – pathfinder, transition, accelerator – esso fornirà sussidi e capitale azionario nelle varie fasi della catena dell’innovazione. Un altro strumento, creato nel 2008, è lo European Institute of Innovation & Technology, un organo indipendente per promuovere la collaborazione europea tra ricerca, istruzione e imprese. Horizon Europe dovrà quindi sciogliere l’annosa dinamica per cui nonostante l’Ue vanti una ricerca di altissimo livello, essa spesso non riesce a trasformare la sua capacità scientifica in leadership nell’innovazione e nell’imprenditoria a livello internazionale.
Un ultimo fattore chiave consiste nel ruolo del settore pubblico. Oltre ad avere una funzione normativa rivolta a creare le condizioni del mercato, all’azione pubblica sarà richiesto di portare avanti investimenti pubblici di dimensioni significative, così come incentivi che mobilitino capitale privato, ma anche stimolare sinergie tra diversi ambiti, dalla tassazione alla normativa, dagli appalti alle riforme strutturali. In sostanza, serve un ritorno alla politica industriale, declinata in salsa green. Questo significa anche concepire strutture di governance orizzontale che facciano dialogare in modo coerente settori e istituzioni diversi, rispecchiando quindi la complessità del fenomeno da gestire.
L’approccio con cui l’Ue ha impostato la prossima programmazione di Horizon Europe si ispira alle missioni Apollo che portarono l’uomo sulla Luna. Allo stesso modo, le missioni europee dovranno essere uno strumento per trovare soluzioni innovative ad alcune delle sfide più difficili che il mondo sta affrontando. Compito che richiederà per molti anni una mobilitazione di risorse, capacità e partecipazione molto ampia. Così si potranno raggiungere obiettivi tanto ambiziosi, che vanno oltre la competizione tecnologica: riguardano il nostro stesso benessere, se non la nostra sopravvivenza.
*Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo (pubblicato il 9 aprile scorso da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)