PESC: i passi che deve compiere l'europeista Macron
Domenico Moro
Commento n. 146 - 3 aprile 2019
Tra il discorso pronunciato dal Presidente Emmanuel Macron, il 26 settembre 2017, alla Sorbona, e la “Lettera ai cittadini europei” del 5 marzo di quest’anno, vi è la “Dichiarazione di Meseberg” del 19 giugno 2018. In tutti e tre i casi si interviene sul tema della politica estera e di sicurezza europea (PESC), ma nella Dichiarazione di Meseberg vi è una differenza sostanziale rispetto alle altre due prese di posizione.
Nel discorso alla Sorbona, di quelle che Macron ha definito essere le “chiavi della sovranità europea”, viene messa al primo posto la politica di sicurezza e di difesa, accompagnata dalla proposta di istituire un’Iniziativa europea di intervento (IEI). Quest’ultima, limitata ad una decina di paesi, è stata concepita come risposta alla Cooperazione strutturata permanente, considerata troppo inclusiva e, quindi, poco ambiziosa negli obiettivi e nei meccanismi decisionali. L’IEI è attualmente composta da Belgio, Danimarca, Germania, Estonia, Finlandia, Francia, Olanda, Portogallo, Regno Unito e Spagna.
Posto che le finalità dell’iniziativa non sono ancora del tutto evidenti, sembra difficile però pensare che ad un numero ristretto di paesi corrisponda, automaticamente, qualcosa di più avanzato sul piano istituzionale. Includere la Danimarca, che ha l’opting-out proprio sulla difesa europea e, soprattutto, il Regno Unito che è stato ed è tuttora il paese che si è sistematicamente opposto a qualunque passo avanti verso una difesa europea, solleva molte perplessità.
All’inizio della Lettera ai cittadini europei, invece, Macron si pone tre domande, due delle quali meritano di essere messe a confronto. Macron si chiede: “Quale paese può agire da solo di fronte alle aggressive strategie delle grandi potenze?” e “Come resisteremmo alle crisi del capitalismo finanziario senza l’euro, che è una forza per tutta l’Unione?”. Tra le due domande vi è una differenza significativa. Nell’ultima, all’obiettivo di resistere alle crisi del capitalismo finanziario, si accompagna l’indicazione dello strumento per perseguirlo: l’euro, un passaggio reso possibile dalla rinuncia della Germania al marco a favore della moneta unica. Nella prima domanda, l’obiettivo di rispondere alle strategie aggressive delle grandi potenze manca dell’indicazione dello strumento. Quest’ultimo sembrerebbe quello esposto nella Lettera, quando viene proposto un “Trattato di difesa e di sicurezza”, che dovrà comprendere un Consiglio di sicurezza europeo e il Regno Unito. Va da sé che non potrà che essere un trattato intergovernativo, con decisioni prese all’unanimità (e, qui, il Regno Unito la farà da padrone). Per una "sovranità europea", in questa proposta, non vi è né spazio né traccia.
Come si è detto all’inizio, in mezzo ai due discorsi di Macron, vi è la Dichiarazione di Meseberg. Essa contiene, tra le altre, due indicazioni su cui, negli ultimi due anni, si è concentrato il dibattito europeo: la richiesta di un bilancio dell’eurozona e la politica estera e di sicurezza comune. Sul bilancio dell’eurozona, pur con dei limiti, sono stati fatti passi avanti sia a livello dell’UE che a seguito di una proposta franco-tedesca. Sulla politica estera e di sicurezza, la proposta di passare al voto a maggioranza in politica estera, ha aperto la strada ad una proposta della Commissione europea che prevede l’introduzione del voto a maggioranza, utilizzando la procedura cosiddetta della “passerella” (si decide all’unanimità di passare al voto a maggioranza), in alcuni settori della politica estera: protezione diritti umani, sanzioni a paesi terzi e missioni civili nel quadro della politica di difesa e di sicurezza comune.
Al di fuori degli incontri bilaterali, verosimilmente per ragioni di politica interna, né Macron, ma neppure Angela Merkel, fanno riferimento al voto a maggioranza in politica estera e di sicurezza. Essi utilizzano gli incontri congiunti, puntando sulla possibilità che sulle loro proposte si coaguli un consenso più ampio. Ad oggi, però, a parte l’iniziativa della Commissione e l’intervento del Primo ministro spagnolo Pedro Sánchez al Parlamento europeo, nel gennaio scorso, non vi sono state reazioni da parte di altri paesi europei.
Sulla cooperazione rafforzata in politica estera e di sicurezza, il Trattato di Lisbona, come è già stato rilevato, ha fatto un passo indietro rispetto al Trattato di Nizza. Infatti, per avviarla, viene richiesta l’unanimità del Consiglio, invece del voto a maggioranza qualificata. Ha però fatto un passo avanti, estendendo la cooperazione rafforzata alla politica di difesa, prima esclusa. Da questo punto di vista, se un gruppo di paesi dovesse prendere l’iniziativa, la politica estera e di difesa potrebbe configurarsi come il settore, forse l’unico, in cui si possono fare passi avanti verso l’integrazione differenziata. L’ostacolo del voto all’unanimità da parte del Consiglio è indubbiamente molto forte, ma è proprio qui che può essere decisiva la svolta europea di Macron.
Il Presidente della Repubblica francese, sia nel corso delle elezioni presidenziali del 2017 sia con la Lettera ai cittadini europei, ha introdotto una novità nel processo di unificazione europea: è merito suo se il dibattito sul futuro dell’Unione europea è diventato oggetto di un confronto politico europeo. Senza l'impulso di Macron, l’Europa non sarebbe entrata nel dibattito elettorale europeo. È per questo che se egli prendesse l’iniziativa di promuovere una cooperazione rafforzata nel settore della politica estera e di sicurezza, anche solo limitatamente alle situazioni previste nella proposta della Commissione europea, l’ostacolo del voto unanime del Consiglio potrebbe essere superato. A maggior ragione se Francia e Germania si pronunciassero a favore della successiva attivazione della procedura della passerella nel formato dei paesi aderenti alla cooperazione rafforzata. In questo scenario, il problema del seggio permanente all’ONU sarebbe un fatto secondario. Questo sarebbe anche il modo per togliere ogni alibi alla Germania.
La Francia è il paese che ha bocciato la Comunità Europea di Difesa, nel 1954, e il Trattato istitutivo di una costituzione europea, nel 2005. E il Presidente Mitterrand non tenne fede all’impegno, preso davanti al Parlamento europeo, di difendere la proposta di Trattato sull’Unione europea presentata da Altiero Spinelli. È dunque comprensibile che vi possa ancora essere dello scetticismo quando dalla Francia si levano voci a favore di un’Europa sovrana, unita e democratica. Per essere credibile, la Francia, come la Germania nel caso del marco, deve indicare a che cosa essa è disposta a rinunciare a favore di una sovranità federale europea, nel caso specifico nel settore della politica estera e di sicurezza, e solo Macron può essere un Presidente all’altezza di questa svolta.
*Membro dell’Unione Europea dei Federalisti e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo