“Stato dell'Unione 2018”: è l'ora della sovranità europea
Flavio Brugnoli
Commento n. 133 - 13 settembre 2018
Per la Commissione europea guidata dal 2014 da Jean-Claude Juncker il tempo dei bilanci non è ancora arrivato. Quello che oggi va messo in primo piano è il fare buon uso, a beneficio dei cittadini europei, dei 250 giorni che ci separano dalle elezioni del Parlamento europeo. È questo il messaggio con cui Juncker ha voluto aprire il suo ultimo “Discorso sullo stato dell’Unione” di fronte ai parlamentari europei a Strasburgo. Un impegno che dovrà andare di pari passo con quello degli Stati membri e dei capi di Stato e di governo, in vista del vertice europeo di Sibiu del 9 maggio 2019 – il primo dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Li deve accomunare e motivare la consapevolezza che – come sottolinea Juncker fin dal titolo del suo Discorso – è giunta “l’ora della sovranità europea”. Che richiede scelte coerenti, impegnative, lungimiranti.
L’Europa che disegna Juncker, di fronte a quel Parlamento che quattro anni fa votò la fiducia a lui e alla sua Commissione, deve essere orgogliosa del proprio ruolo di “garanzia di pace” in questi decenni, ma anche capace di difendere attivamente il proprio modello politico, economico, sociale. E non darlo per scontato, come Juncker ci ricorda, con un drammatico riferimento allo scoppio inatteso della Grande Guerra del 1914. Un’Europa capace di un patriottismo aperto e inclusivo, contrapposto a un nazionalismo chiuso e distruttivo. Un’Europa che deve passare da semplice spettatore e generoso finanziatore sulla scena internazionale (global payer) a lungimirante attore globale (global player). Solo affermando una “sovranità europea” si riuscirà laddove non possono arrivare, al tempo della globalizzazione, velleitarie illusioni di recupero di “sovranità nazionali”, Un approccio in cui è facile avvertire un’assonanza con il grande discorso del Presidente Macron alla Sorbona, per “un’Europa sovrana, unita, democratica”.
Il Presidente Juncker ha voluto ribadire che l’economia europea ha compiuto importanti passi avanti, dopo la crisi internazionale esplosa nel 2008, come testimoniano 21 trimestri consecutivi di crescita e dati incoraggianti sull’aumento dell’occupazione – inclusa quella giovanile, pur se ancora in misura insufficiente. Tutto questo grazie anche all’impegno della Commissione, anzitutto con il Fondo europeo per gli investimenti strategici, che ormai si avvicina ai 400 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati attivati. Un’Europa che deve essere consapevole del proprio ruolo quale potenza commerciale, forte del più grande mercato unico del mondo. Un’Europa che ha accordi commerciali con 70 Paesi, che coprono il 40% del Pil mondiale, e che da sola costituisce un quinto del Pil mondiale. Proprio per questo è fondamentale, come più volte ribadito da Juncker a Strasburgo, che un’Ue “forte e unita” sia alla testa della difesa del multilateralismo, non solo in campo commerciale.
A questo ruolo globale dell’Ue contribuisce – a dispetto di critiche miopi e di corto respiro – il successo dell’euro, seconda valuta mondiale dopo il dollaro. Ma Juncker evidenzia che solo rafforzando e completando l’Unione economica e monetaria sarà possibile beneficiare appieno del ruolo internazionale dell’euro, tema su cui entro l’anno la Commissione intende presentare importanti proposte. Gli stessi europei non hanno piena consapevolezza di questo, come ricorda Juncker, con un’incisività che merita la citazione completa: “è assurdo che l’Europa paghi in dollari USA l’80% della sua fattura per le importazioni di energia – che è pari a 300 miliardi di euro l’anno –, quando solo il 2% circa delle nostre importazioni di energia proviene dagli Stati Uniti. È assurdo che le compagnie europee acquistino aerei europei in dollari anziché in euro”.
La situazione geopolitica internazionale mostra che “è scoccata l’ora della sovranità europea”. Serve un’Europa in grado di esprimere una “capacità politica globale” (Weltpolitikfähigkeit), di “parlare con una voce sola”, di farsi carico della propria sicurezza, interna ed esterna, di divenire “più responsabile e più indipendente”. Per questo Juncker annuncia nuove misure per la lotta al terrorismo e al riciclaggio, e ribadisce che va portata a compimento quella “Unione europea della difesa” che ha oggi i suoi pilastri nel Fondo per la difesa europea e nella Cooperazione strutturata permanente – grazie anche alla determinazione dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini. Un impegno che, sottolinea Juncker (come già nel suo Discorso del 2017), per essere efficace richiede il passaggio al voto a maggioranza qualificata in campi importanti della politica estera e di sicurezza dell’Unione, grazie alle “clausole passerella” del Trattato. E Juncker ricorda anche, con giustificato orgoglio, che è solo grazie all’Ue che l’Europa è presente nella corsa spaziale, con il successo del programma Galileo, con i suoi 26 satelliti e già 400 milioni di utenti.
Dove l’Europa – e anzitutto gli Stati membri – è chiamata ad essere finalmente all’altezza dei propri principi, è di fronte al fenomeno epocale delle migrazioni. Juncker richiama i passi avanti compiuti nel controllo dei flussi migratori, annuncia il rafforzamento della Guardia di frontiera e costiera europea (con 10.000 nuovi effettivi entro il 2020) e dell’Agenzia europea per l’asilo, conferma l’impegno per accelerare il rimpatrio dei migranti irregolari. Ma sottolinea anche, coraggiosamente, che servono canali legali di immigrazione verso l’Unione, e che un’Europa che rendesse permanente il ritorno dei confini interni compirebbe un drammatico passo all’indietro. Ma la risposta più lungimirante sta in una “nuova alleanza tra Africa ed Europa”, incentrata su investimenti sostenibili e creazione di occupazione in loco, con una partnership che potrebbe approdare, a medio termine, a un accordo di libero scambio fra i due continenti (già oggi il 36% del commercio dell’Africa è con l’Ue).
Mancano poco più di otto mesi ad elezioni che saranno fondamentali, se non decisive, per il futuro del progetto europeo. Un appuntamento la cui importanza è evidenziata anche dall’annuncio di Juncker che la Commissione propone nuove misure per “garantire elezioni europee libere e regolari”. Trasparenza, parità di condizioni, sicurezza da interferenze esterne sono vitali per la solidità delle nostre democrazie, così come lo sono il rispetto dello Stato di diritto, della separazione dei poteri, della libertà d’informazione. Ha un grande valore politico, oltre che simbolico, che proprio nel giorno del Discorso sullo stato dell’Unione il Parlamento europeo abbia approvato la richiesta di attivare l’art. 7 per “stabilire se esista un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria” di Orbán dei valori su cui si fonda l’Ue.
La vera sfida alle elezioni europee sarà tra chi vuole un reale avanzamento del progetto di integrazione e un aggressivo (e frammentato) fronte sovranista. Forse a medio termine l’Europa andrà verso una dinamica “americana”, con un polo che guarda più a ruolo e prerogative degli Stati e un polo che guarda con più fiducia al livello “federale”: due visioni politiche diverse, entrambe dentro l’Unione. Ma oggi è necessario tenere alta la guardia e saper costruire alleanze inclusive e propositive. È positivo che Juncker abbia difeso il metodo degli Spitzenkandidaten (collegandolo, per il 2024, al rilancio delle liste transnazionali). Chi lo avversa sembra non aver colto l’importanza del nuovo rapporto fiduciario fra Commissione e Parlamento. E proprio la Commissione, nel febbraio scorso, ha ricordato che candidato Presidente sarà “il candidato che ottiene l’appoggio della maggioranza dapprima all’interno del Consiglio europeo (…) poi all’interno del Parlamento europeo”. Chi ha a cuore il futuro dell’Europa oggi deve proporre agli elettori europei programmi e candidati all’altezza della sfida esistenziale che abbiamo davanti.
* Direttore del Centro Studi sul Federalismo