Taormina 2017: scacco all'Ue?
Filippo Maria Giordano
Commento n. 109 - 15 giugno 2017
Nella foto di rito scattata all’apertura del 43° vertice del G7 di Taormina lo scorso 26 maggio, spicca fra gli abiti grigio scuro e blu notte dei leader la giacca blu vivo della cancelliera tedesca, lo stesso "reflex blu" della bandiera europea. Forse un segno più che una semplice coincidenza, specie se il messaggio viene letto alla luce delle più recenti dichiarazioni di Angela Merkel.
Già al termine del vertice informale di Malta del 3 febbraio, in cui leader europei adottavano una dichiarazione sull’immigrazione, la Merkel avanzava l’ipotesi di un’Europa a "differenti velocità". Una posizione presto ritrattata in occasione dell’incontro con il presidente della BCE Mario Draghi pochi giorni dopo, durante il quale il capo dell’esecutivo tedesco si esprimeva in termini più prudenti, parlando di una Ue più "flessibile" e allontanando i timori di un’Eurozona a due velocità. Ad ogni modo, l’idea di dover compiere un passo avanti nella direzione di una maggiore integrazione fra i paesi membri più volenterosi (e forse virtuosi) era già nelle sue intenzioni.
L’occasione per ribadire la volontà di procedere verso un’Europa a più velocità si è ripresentata al mini vertice di Versailles del 6 marzo, durante il quale Francia, Germania, Italia e Spagna si sono trovate d’accordo sulla "responsabilità di tracciare la via" per il futuro dell’Ue, come affermato dall’ex presidente francese François Hollande. L’urgenza di riaffermare la necessità di andare avanti e rilanciare il progetto europeo era anche dettata dall’imminente attivazione della procedura di uscita del Regno Unito dall’Ue (29 marzo 2017). Tuttavia non era ancora chiaro su quali e quante "geometrie" si dovesse puntare, variando le priorità dei quattro: rafforzamento dell’Eurozona, pressioni migratorie e sicurezza interna, Europa della difesa, Europa sociale?
I quattro leader hanno lasciato la reggia di Versailles promettendo di riprendere il discorso sull’integrazione a "diversi livelli" in occasione della celebrazione dei trattati di Roma prevista per il 25 marzo 2017. Merkel spiegava che era necessario mostrare più coraggio e permettere a certi paesi di andare avanti più rapidamente attraverso "cooperazioni differenziate" senza precludere agli altri partner la possibilità di aderirvi. La priorità individuata era quella della difesa comune, già suggerita nel 2016 dai ministri degli Esteri e della Difesa di Francia e Germania e sostenuta ormai con intensità variabile dalle istituzioni europee, Alto Rappresentante, Commissione, Parlamento e Consiglio. Sulla difesa, la Merkel aveva raccolto a Varsavia anche il parere positivo del gruppo di Visegrád in vista del vertice informale di Bratislava (2-3 settembre 2016), il primo a 27 dopo l’uscita di Londra. Allora l’ostacolo sembrava ancora l’opposizione degli inglesi.
Il vertice di Roma, nonostante l’assenza del Regno Unito, si è rivelato meno efficace di quanto auspicato e l’idea di procedere a diverse velocità è rimasta confinata nella vaga locuzione della Dichiarazione di Roma: "Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione". Nel documento manca l’indicazione riguardo ai possibili settori – tanto meno la difesa – su cui avviare forme di integrazione differenziata, come suggerito dal "Libro bianco sul futuro dell’Europa" predisposto dalla Commissione (scenario 3). Le renitenze maggiori venivano dai paesi dell’Est, diffidenti verso modelli di Europa a più velocità, inamovibili sulla questione migratoria e timorosi della crescente egemonia tedesca in Europa.
Si prefigurava così uno stallo, dettato dalle nuove opposizioni e dalle divergenze, su come affrontare le crisi europee e procedere a forme di maggiore integrazione. Si poneva dunque la domanda cruciale: "Europa, quo vadis?". Tuttavia come accaduto dopo il 1954, quando in risposta all’affossamento della Comunità europea di difesa, si riavviò il processo di integrazione grazie alla Conferenza di Messina che portò nel 1957 ai trattati di Roma, così alle delusioni del Sessantennale, il G7 di Taormina, nonostante il clima teso e l’esito tutt’altro che positivo, potrebbe essere di stimolo per rilanciare più concretamente l’idea dell’integrazione differenziata.
Il vertice NATO che ha preceduto Taormina e lo stesso G7 sembrano aver offerto una nuova opportunità di "crisi", ponendo la Germania all’angolo insieme a Francia e Italia. Il duro braccio di ferro tra Merkel e Trump potrebbe risvegliare la Germania e, con essa, l’Europa. Che il destino di quest’ultima sia legato alle variabili geometrie dell’integrazione intorno all’asse franco-tedesco è ormai quasi scontato, ma occorre più decisione. Ora Frau Merkel dovrà probabilmente attendere l’esito delle elezioni federali di settembre – sebbene i sondaggi la diano in vantaggio su Martin Schulz – prima di rilanciare l’iniziativa. Tuttavia, passati i clamori dei populismi euroscettici, silenziati dal voto olandese e francese, e trovata una certa convergenza con il neo presidente Emmanuel Macron, favorevole all’istituzione di un Fondo europeo per la difesa (varato dalla Commissione il 7 giugno scorso), potrebbero prefigurarsi nuovi scenari e possibili intese sull’integrazione differenziata in questo settore.
L’asse Parigi-Berlino potrebbe consolidarsi anche sul piano dell’integrazione economica. Prima di salire all’Eliseo, Macron, da ministro dell’Economia, si era confrontato con l’omologo tedesco Wolfgang Schäuble sull’ipotesi di una riforma dell’Eurozona, trovando motivi di intesa. Ora l’idea di un bilancio comune e di un ministro unico dell’Economia europea potrebbe essere un terreno fertile per possibili convergenze franco-tedesche. Tanto più che Macron e Merkel si sono espressi pure a favore di possibili modifiche dei Trattati.
Nel campo della difesa l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante, nonostante l’incertezza politica che la domina. Potrebbe infatti appoggiare eventuali iniziative in questa direzione, su cui si stanno coagulando gli interessi franco-tedeschi, e procedendo insieme a loro promuovere forme approfondite di integrazione nel settore della difesa, puntando sull’Eurocorps e sulla cooperazione strutturata.
Dopo la Brexit, di fronte al disimpegno degli USA, agli scenari di guerra commerciale che Trump fa presagire e alle divergenze su clima e immigrazione, con alle porte la Russia di Putin che preme sul confine euroasiatico, circondata da crisi endemiche di povertà e migrazione che l’Africa genera ininterrottamente e che le guerre mediorientali alimentano a ritmi incalzanti, favorendo radicalizzazione e terrorismo, schiacciata dall’emergere dei nuovi colossi produttivi come la Cina che al Forum di Davos di gennaio annunciava una visione della globalizzazione in linea con le proprie ambizioni egemoniche, di fronte a questi scenari l’Ue pare assente e impotente.
Forse il G7 e le parole di Trump potranno ridestare l’Europa, ancora in evidente stato di shock. Forse la giacca blu della Merkel aiuta a riposizionare l’accento sul ruolo dello "statista" di fronte alla "crisi" e apre all’integrazione nuove opportunità. La Germania si trova ora sotto scacco con l’Ue, ma può, con la Francia, rilanciare muovendo sulla "difesa". è anzitutto dalla Merkel che dipende il destino dell’Unione; anche questa volta la domanda più opportuna è: "Germania, quo vadis?". Il 7-8 luglio 2017 si riunirà ad Amburgo il G20 e la Germania avrà una nuova occasione: Frau Merkel riuscirà a riscattare l’UE nei confronti di Trump e di fronte alle sfide globali? Il lancio della G20 Africa Partnership costituirebbe, in questo senso, un segnale importante.
*Filippo Maria Giordano è Ricercatore del Centro Studi sul Federalismo, Modulo Jean Monnet Università degli Studi di Torino