Federalismo fiscale e Senato delle Regioni
Alberto Majocchi
Commento n. 98 - 16 gennaio 2017
Il problema centrale di un sistema di federalismo fiscale è il meccanismo decisionale che può essere utilizzato per definire un’equa ripartizione delle risorse fra i diversi livelli di governo. Se la ripartizione non avviene con meccanismi tali da garantire l’effettiva indipendenza finanziaria dei livelli inferiori di governo, ovvero la loro reale partecipazione alle decisioni che concernono la distribuzione delle risorse, il governo centrale tenderà naturalmente ad assumere un ruolo prevaricante, come è già avvenuto negli Stati federali, e in particolare negli Stati Uniti. D’altra parte, la ripartizione non può avvenire né sulla base della qualità delle imposte – riservandone alcune, per la relativa immobilità della base imponibile, ai livelli inferiori di governo –, in quanto non si può garantire che l’evoluzione del gettito di queste imposte sia adeguato per far fronte agli obiettivi allocativi che si vogliono conseguire, né sulla base di limiti quantitativi precostituiti, ossia con vincoli che impedirebbero di far corrispondere la politica economica alle necessità della situazione congiunturale. Per avere un effettivo sistema di federalismo fiscale la decisione sulla ripartizione delle risorse fra i diversi livelli di governo deve rappresentare l’elemento centrale di un piano in cui vengano rese coerenti le scelte fondamentali che riguardano la vita di un paese; e a questa decisione devono concorrere necessariamente sia la rappresentanza del livello superiore sia quella dei livelli inferiori di governo.
È vero infatti che il principio federale si fonda, secondo la classica definizione di Kenneth Wheare, su “il metodo di dividere i poteri in modo tale che i governi generale e regionali siano, ciascuno nella sua sfera, coordinati e indipendenti”. Si può quindi considerare effettivo un sistema di federalismo fiscale soltanto nella misura in cui vi è indipendenza, anche in materia fiscale, da parte dei governi locali. Ma questo in Italia non avviene neppure nel caso delle Regioni, in quanto la fiscalità del livello regionale è definita dal livello centrale. Sempre secondo il modello di Wheare, “questo non è federalismo, è decentramento”. Ma il problema si pone comunque anche negli Stati autenticamente federali, dove è riconosciuta l’indipendenza degli Stati membri. In materia fiscale le competenze sono strutturalmente concorrenti, in quanto il prelievo a qualsiasi livello di governo grava comunque sullo stesso contribuente e un maggior prelievo da parte dello Stato centrale o delle Regioni, dato il livello di pressione fiscale considerato sostenibile in un determinato contesto sociale, lascia disponibile una minore quantità di risorse per gli altri livelli di governo. Occorre quindi individuare una procedura che consenta una soluzione concordata fra il governo centrale e l’insieme dei governi locali. Soltanto in questo modo viene garantita l’indipendenza e nello stesso tempo la coordinazione, soddisfacendo i criteri fissati da Wheare.
Nei sistemi federali i governi regionali non solo hanno un ruolo riconosciuto costituzionalmente, ma le realtà regionali hanno rilievo costituzionale anche nei meccanismi di democrazia rappresentativa. Il sistema tedesco è sotto questo profilo il più incisivo. In Germania, la seconda Camera, il Bundesrat, è formata da rappresentanti dei governi dei Länder e ha competenza, ossia diritto di iniziativa e di veto, su tutte le materie che hanno rilievo per i Länder, e in particolare sul regime fiscale e sulle imposte. Si realizza così una stretta integrazione a livello decisionale fra Governo federale e Länder, che produce risultati positivi sia sotto il profilo dell’allocazione territoriale delle risorse sia in funzione della stabilizzazione congiunturale e dello sviluppo.
In realtà, un sistema funzionale di finanza regionale richiede una partecipazione di pieno diritto delle Regioni alle decisioni che le concernono. Un passo in questa direzione è rappresentato dalla Commissione permanente per i rapporti fra lo Stato e le Regioni, che rappresenta la sede in cui il Governo acquisisce l’avviso delle Regioni sui più importanti atti amministrativi e normativi di interesse regionale. Essa esercita la funzione consultiva a favore del Governo attraverso l’espressione di pareri e, nei casi previsti dalla legislazione vigente, deve concludere un’intesa con il Governo su una proposta di iniziativa dell’Amministrazione centrale. Ma, in questo caso, una norma di chiusura stabilisce che nell’ipotesi in cui non si raggiunga l’intesa entro trenta giorni dalla prima seduta in cui l’oggetto è posto all’ordine del giorno, “il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata”. In definitiva, per ammissione diffusa, l’esperienza della Commissione Stato-Regioni non ha rappresentato che una parziale e insoddisfacente soluzione in quanto la decisione finale rimane nelle mani dell’organo statale.
Se il punto essenziale è stabilire chi possiede il potere di dire l’ultima parola, in particolare sulle decisioni in materia di ripartizione delle risorse fiscali, la soluzione consiste nell’identificazione di una sede istituzionale effettiva di co-decisione. In caso contrario, se l’ultima parola spetta allo Stato il sistema tende all’accentramento, come avviene in Italia; se spetta al livello locale, alla frammentazione, come avviene nel sistema di finanziamento dell’Unione europea. Per affrontare adeguatamente il problema di una corretta ripartizione delle risorse fiscali un presupposto indispensabile, sia a livello nazionale che a livello europeo, è costituito da una riforma istituzionale che preveda l’istituzione di una seconda Camera rappresentativa dei livelli inferiori di governo.
In Italia, dopo l’esito negativo del referendum che ha bocciato la riforma che prevedeva, sia pure in modo confuso, la creazione di un Senato delle Autonomie, è opportuno rimettere al centro del dibattito istituzionale in termini chiari l’eliminazione del Senato attuale – che rappresenta un gravoso doppione della Camera dei Deputati (il c.d. superamento del bicameralismo paritario) – e la sua trasformazione in un Senato delle Regioni, sulla base del modello rappresentato dal Bundesrat tedesco, ossia con una rappresentanza diretta dei governi regionali. In questo modo verrebbe istituzionalizzata una rappresentanza effettiva a livello nazionale dei livelli inferiori di governo, con il compito prioritario di valutare le ripercussioni a livello territoriale delle decisioni assunte dal governo centrale.
Questa riforma consentirebbe inoltre di risolvere il problema del meccanismo decisionale da utilizzare per distribuire le risorse fiscali fra i diversi livelli di governo. Uscendo dalla pratica umiliante e inefficace della contrattazione permanente, un piano pluriennale che includa anche la definizione della ripartizione delle risorse dovrebbe essere approvato all’inizio di ogni legislatura da entrambi i rami del Parlamento. Si verrebbe così a configurare un’istanza federale, per sua natura dialettica, in quanto rappresenta nello stesso tempo gli interessi della collettività e delle sue parti, garantendo al contempo, secondo le indicazioni di Wheare, l’indipendenza e il coordinamento. Al contempo, verrebbe superata una insufficienza strutturale del modello di federalismo fiscale, fondato sul presupposto dell’autonomia impositiva di ogni livello di autogoverno. Nella realtà, l’applicazione di questo modello ha dato luogo a una competizione fra fisco centrale e fisco regionale che, di fronte al limite invalicabile costituito dalla capacità contributiva dei cittadini, può raggiungere un punto di equilibrio soltanto con la subordinazione del livello più debole al livello più forte.
Alberto Majocchi è Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo