Verso una gestione integrata delle frontiere europee?
Filippo Maria Giordano
Commento n. 94 - 21 novembre 2016
Il 6 ottobre 2016 veniva inaugurata, al confine tra Bulgaria e Turchia, la nuova Guardia di frontiera e costiera europea (GFCE), con solenni dichiarazioni di Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo per la Migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, e delle autorità bulgare. Secondo Avramopoulos, l’iniziativa segna “una tappa fondamentale nella storia della gestione delle frontiere europee”. Con il nuovo regolamento “la frontiera esterna dell’UE di uno Stato membro è la frontiera esterna di tutti gli Stati membri – sul piano sia giuridico sia operativo”. La nuova Frontex potrebbe rappresentare una svolta significativa nel modo di gestire le frontiere europee con rilevanti implicazioni sul piano politico.
Si deve riconoscere alla Commissione europea il merito di aver operato con risolutezza nel momento più delicato dell’emergenza migratoria e della crisi del sistema Schengen. Questa ha permesso ai paesi membri di raggiungere un compromesso sulla proposta di un regolamento contenente misure per avviare una gestione più efficace delle frontiere europee, senza limitare la libera circolazione nello spazio interno. Dopo il via libera del Consiglio europeo del dicembre 2015 al pacchetto di proposte avanzato dalla Commissione in attuazione dell’Agenda europea sulla migrazione, il regolamento che istituisce la GFCE è stato approvato a tempo di record dal Consiglio dell’Unione europea in meno di un anno. Già in marzo, il Parlamento europeo e il Consiglio approvavano il nuovo "Codice Schengen", predisponendo un apparato di norme (artt. 21-29) funzionale al regolamento sulla GFCE.
Frontex era già stata rivista e integrata in più occasioni per far fronte alle carenze operative e alle lacune giuridiche; tuttavia restava ancorata all’idea di una gestione delle frontiere esterne fondata sulla cooperazione operativa e non sul concetto della gestione integrata (GFCE, art. 5). La nuova GFCE trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 77 del TFUE, in cui si fa esplicito riferimento alla progressiva istituzione “di un sistema integrato di gestione delle frontiere”, e nell’art. 5 del TUE che richiama il principio di sussidiarietà. La base legale rende più esplicita la natura del mandato attribuito alla GFCE, che agli obiettivi operativi, gestione condivisa delle frontiere, affianca un mandato politico sulla sicurezza interna e sulla tutela dello spazio Schengen.
La GFCE provvede alla gestione integrata delle frontiere attraverso la “responsabilità condivisa” della “Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera europea” (Agenzia) e delle “autorità nazionali” degli Stati membri dell’area Schengen competenti in materia. I due attori sono corresponsabili sul piano operativo e hanno il compito di salvaguardare la libera circolazione nello spazio interno e le frontiere esterne. Gli Stati membri “mantengono la responsabilità primaria nella gestione delle proprie frontiere esterne nel loro interesse e nell’interesse di tutti gli Stati membri”, mentre l’Agenzia sostiene “l’applicazione delle misure dell’Unione” che riguardano la gestione delle frontiere esterne.
L’Agenzia è dotata di nuovi strumenti, tra cui la procedura per interventi urgenti alle frontiere, la creazione di un contingente di 1500 guardie frontaliere, la riserva di reazione rapida da impiegare in aiuto degli Stati in difficoltà. Vede poi rafforzate le sue capacità in fatto di personale specializzato, di bilancio e di apparecchiature, con la possibilità di acquistare per sé le attrezzature di cui difettano le autorità nazionali, razionalizzando le commesse e i dispositivi d’intervento a livello europeo. L’Agenzia ha inoltre maggiori prerogative in materia di rimpatri e procedure di cooperazione con i paesi terzi da cui provengono i flussi migratori. Un’altra novità importante è l’impiego di funzionari di collegamento con gli Stati membri – vere e proprie antenne dell’Agenzia sul territorio dell’UE – con il compito di monitorare l’operato degli Stati e di contribuire con relazioni periodiche alla formulazione di una “valutazione della vulnerabilità” a norma dell'art. 13 (GFCE, art. 11). Questo aspetto è forse il più rilevante e quello che implica il cambiamento più radicale nella gestione delle frontiere. Vediamone i passaggi principali.
In base alla valutazione, il direttore dell’Agenzia “invita gli Stati membri interessati ad adottare le misure necessarie” per salvaguardare le frontiere dell’Ue e lo spazio Schengen. Qualora lo Stato sollecitato non attui le misure contenute nella raccomandazione entro un tempo stabilito, il direttore ne informa la Commissione e riferisce la questione al consiglio di amministrazione, che adotta a maggioranza assoluta una decisione vincolante per lo Stato in questione. In caso di inadempienza, vengono informati il Consiglio de la Commissione, facendo scattare l’art.19.
A questo punto la questione diventa “politica” e il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione mediante un atto di esecuzione, in cui definisce le misure che l’Agenzia deve imporre allo Stato sotto osservazione. Essa definisce il piano operativo e stabilisce una serie di azioni: dispiegamento di forze della GFCE, mobilitazione della riserva, allestimento di squadre di sostegno nei punti di crisi, varo di operazioni congiunte, impiego di attrezzature tecniche proprie o di altri Stati. Qualora lo Stato continuasse a non cooperare, la Commissione può decidere come extrema ratio di ripristinare il controllo alle frontiere a norma dell’art. 29 del codice Schengen per salvaguardarne lo spazio e proteggere gli interessi comuni dell’Unione.
L’Agenzia, che detiene il controllo del “sistema frontiere”, può così lavorare per rafforzare, valutare e coordinare gli interventi degli Stati che attuano le misure stabilite dal suo consiglio di amministrazione, senza incontrare eccessive resistenze. Inoltre, la GFCE attribuisce al consiglio – composto da 26 rappresentanti degli Stati membri e due della Commissione – nuove competenze e una certa autonomia decisionale, che si esprime a maggioranza assoluta o di tre quarti (art. 62). È possibile che, alla luce del suo potenziamento, i governi nazionali in futuro ppreferiscano a quello tecnico (alti funzionari di polizia) un profilo più politico (funzionari ministeriali), trasformando l’organo decisionale dell’Agenzia in un “piccolo Consiglio”.
La “valutazione della vulnerabilità” è il vero aspetto innovativo della GFCE poiché tende a modificare, sul piano giuridico e dei rapporti politici, l’equilibrio fra Stati membri e Ue, portando la gestione delle frontiere dalla semplice cooperazione all’integrazione. L’iter innescato dalla procedura rappresenta un deterrente, per spingere gli Stati membri alla “condivisione di responsabilità” nella gestione delle frontiere europee. In altre parole, il nuovo regolamento mette a disposizione dell’Agenzia uno strumento di coercizione indiretta, che configura una prelazione degli organi esecutivi dell’Unione su quelli nazionali, senza intaccarne competenze e sovranità.
La GFCE apre una fase inedita nella gestione delle frontiere e consente avanzamenti nell’ambito della cooperazione di polizia, specie se si considera che il TFUE contempla l’ipotesi di avviare cooperazioni rafforzate in questo settore (art. 87.3). Questa nuova modalità di cooperazione nell’ambito di politiche complesse come quella della sicurezza e degli affari interni, in cui prerogative e sovranità nazionali restano forti, può essere un volano per percorsi alternativi di integrazione. Al tempo dimostrare se il nuovo sistema, non senza limiti e soggetto a critiche, riuscirà a rendere più coerente ed efficace la risposta europea alla crisi migratoria.
Filippo Maria Giordano è ricercatore del Centro Studi sul Federalismo, Modulo Jean Monnet Università degli Studi di Torino