L' Europa di Papa Francesco
Filippo Maria Giordano
Commento n. 86 - 8 luglio 2016
Di fronte alle grandi sfide imposte dal nuovo millennio, l’Europa sembra lamentare la mancanza di grandi figure. Non si vedono statisti in grado di compiere quell’ “atto di coraggio” preso a motto da Walter Hallstein, primo presidente della Commissione europea (1958-1967), in grado di imprimere al processo di integrazione un nuovo sviluppo in senso sovranazionale. In assenza di leader europei all’altezza di dare seguito al progetto di Jean Monnet e alla lungimiranza politica di Altiero Spinelli, Papa Francesco ha colmato un vuoto ideale – e in parte politico –, richiamando l’Europa sui grandi temi e invitando i rappresentanti delle sue istituzioni a “uno slancio nuovo e coraggioso” per il futuro del continente.
Il 6 maggio scorso, in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, nel suo discorso di ringraziamento, papa Francesco si è appellato all’“anima” dell’Europa, alle sue risorse morali e spirituali. Egli ha voluto ricordare come l’Europa uscita dalla Seconda guerra mondiale sia riuscita a testimoniare all’umanità un “nuovo inizio”, dando vita a “una novità senza precedenti nella storia”. Dalle sue divisioni, l’Europa è riuscita a ritrovare “se stessa dando inizio alla costruzione della casa comune”, intorno a un’anima rinnovata, quell’“anima comune” tante volte evocata anche da Jacques Delors.
Anima, memoria, unità, opportunità e solidarietà sono i punti intorno a cui si articola il messaggio di Bergoglio, teso a distogliere lo sguardo degli europei dagli egoismi nazionali per riportarlo a “quell’ardente desiderio di costruire l’unità” dell’Europa. Il papa sollecita il Vecchio Continente a costruire “le mura della casa comune” su solide basi, su una “solidarietà di fatto”, seguendo il sentiero tracciato da Schuman, De Gasperi e Adenauer, piuttosto che gettare le fondamenta “sulle sabbie mobili dei risultati immediati” e della “rendita politica facile, rapida ed effimera”.
Dalla sua elezione al soglio pontificio, Francesco non ha avuto molte occasioni per parlare di integrazione europea, ma da alcuni suoi discorsi è possibile cogliere indicazioni generali. Il papa si dichiara favorevole a una riforma sostanziale dell’Unione europea (UE) quando invita gli europei a “non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove” per assicurare il “bene comune” e permettere alla civiltà europea di realizzare quella “pienezza umana” che le è conforme. A Bergoglio non sfuggono certe difficoltà del processo e, rivolgendosi alle istituzioni europee, auspica il superamento delle prospettive nazionali in favore dell’Unione. Infine, cosciente dell’entità delle sfide che si pongono di fronte agli europei, suggerisce loro di cogliere dalle difficoltà l’occasione di realizzare l’unità dell’Europa, sebbene non indichi modelli politico-istituzionali da seguire.
Come i suoi predecessori, il papa venuto dall’America Latina sembra deciso a portare sul terreno politico l’impegno morale della Chiesa nei confronti dell’Europa. Tuttavia lo sforzo di Francesco pare avere un carattere nuovo, teso alla concretezza. Wojtyla e Ratzinger hanno rivolto i loro sforzi maggiori alla promozione del cristianesimo a principio cardine dell’identità dell’UE, volendo con ciò imprimere al suo modello politico-istituzionale un chiaro orientamento. Sono note le posizione di entrambi rispetto all’inserimento nel quadro giuridico europeo di un riferimento esplicito alle radici cristiane. Bergoglio, al contrario, ha fin da subito cercato di richiamare alla coerenza le istituzioni europee, mostrando come fosse proprio del modello europeo dar seguito a certi principi presenti nei Trattati, e nella sensibilità cristiana.
Mentre i papi “europei” si sono impegnati per modificare dall’interno l’Unione, attraverso la difesa dei valori cristiani, il papa argentino, facendo leva su quegli stessi valori, impliciti nei Trattati, ha inteso richiamare l’attenzione dell’UE sulla loro applicazione di fronte alle crisi internazionali. Inoltre, il registro di Bergoglio appare più diretto rispetto a quello dei suoi predecessori e, puntando alla coerenza del modello piuttosto che ai principi da inserirvi, pare esprimere meglio il suo temperamento, in linea con il carattere dell’ordine religioso cui appartiene.
L’impegno di Francesco per l’Europa sembra dunque accompagnato da una più esplicita esortazione politica, orientata all’azione e diretta al risultato. Il suo approccio alle questioni internazionali mostra la consapevolezza di una visione globale dei problemi e pone la Chiesa nella condizione di sfruttare la propria autorevolezza morale per stimolare l’iniziativa politica di istituzioni e organizzazioni internazionali. In particolare, in alcune raccomandazioni sull’Europa è possibile cogliere il riflesso di una visione neo-bolivariana, in cui è forte una prospettiva politica d’insieme che, nel caso sudamericano, sogna una unione fondata sull’asse Brasile-Argentina. Per l’UE, il papa argentino pare incoraggiare una soluzione simile e auspica il completamento della costruzione europea sull’asse dei principi fondamentali di umanità e solidarietà.
In un suo precedente discorso al Parlamento europeo (PE), egli esortava l’Europa a essere meno “nonna”, meno diffidente e chiusa. Ora la sprona a ritrovare il coraggio, la creatività e l’entusiasmo per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulla capacità di integrare, di dialogare e di generare. In altri termini, Francesco invita gli europei a pensare e a guardare alle questioni internazionali in una prospettiva continentale e quindi a coglierne le opportunità per trasformare una catena di crisi regionali in un rilancio del processo d’integrazione europea.
In tal senso la crisi umanitaria generata dalle migrazioni di massa assume per Bergoglio un valore paradigmatico. La visita del papa sull’isola di Lesbo va in questa direzione e vuole essere un’occasione per invitare le istituzioni europee a “osare” di più e a trasformare i problemi in processi creativi, a considerare le difficoltà come opportunità, e quindi come “promotrici potenti di unità”. Questa iniziativa, dunque, va letta non solo per il suo significato morale, come invito a mettere in pratica il messaggio evangelico, ma anche per il suo monito più chiaramente politico, specie se interpretato alla luce del suo precedente discorso al PE.
E mentre la questione migratoria continua a dividere l’UE e a mettere a rischio lo spazio Schengen, spingendo papa Francesco a sperare che l’impegno dell’Europa per i diritti umani non diventi la “sua ultima utopia”, la Brexit richiama tutti i cittadini europei a una severa riflessione sul significato di “unione”. Al riguardo, Bergoglio non ha dubbi: “l’unità è superiore al conflitto”, anche se questa deve essere riformulata sulla base di una nuova “fratellanza” che superi le “distanze” e riconosca le differenze culturali dei diversi popoli europei. Anche quando usa espressioni come “Unione massiccia” o “sana disunione”, per sottolineare il rispetto delle diversità dei popoli europei, lo fa senza abdicare al progetto, più volte richiamato, dei Padri fondatori, come taluni vorrebbero far intendere con eccessiva disinvoltura.
Dopo la crisi economica e lo scongiurato default greco, dopo la guerra ucraina e siriana e le crisi mediterranee, dopo gli attacchi terroristici di Parigi e Bruxelles, l’UE entra in una fase inedita della propria storia. Anche di fronte allo scenario imprevedibile aperto dalla Brexit, Francesco invita gli europei a non alzare muri, ma a costruire ponti, a “pensare un’altra forma di unione”, in altre parole a “essere creativi” e “fecondi”.
Filippo Maria Giordano è Ricercatore del Centro Studi sul Federalismo, Modulo Jean Monnet Università degli Studi di Torino