La BCE: la forza di un'istituzione federale
Roberto Castaldi
Commento n. 77 - 14 marzo 2016
Nell’arco di una settimana abbiamo visto il peggio e il meglio dell’Unione Europea (UE). Lunedì 7 marzo lo stallo del Consiglio Europeo sulla crisi dei rifugiati – l’ennesimo fallimento dei Capi di Stato e di governo degli Stati membri, divisi, in balia dei ricatti turchi, e pronti a calpestare i valori europei e il diritto internazionale. Giovedì 10 marzo l’azione decisa e inedita della Banca Centrale Europea (BCE) per rianimare l’economia europea.
L’efficacia o l’impotenza dell’UE rispecchiano fedelmente la modalità di prendere le decisioni, il livello di condivisione della sovranità. L’UE ha un modello di governance duale. In certe materie decide con un metodo federale, cioè attraverso il principio democratico del voto a maggioranza, in altre con il metodo intergovernativo e paralizzante dell’unanimità. La Commissione, la Corte di Giustizia, il Parlamento Europeo e la Banca Centrale Europea sono le istituzioni europee con una natura federale e sovra-nazionale. Sono chiamate a fare l’interesse dell’Unione in quanto tale e non di un singolo Stato membro, e decidono al loro interno votando. La possibilità di votare è fondamentale per arrivare a una decisione, senza essere paralizzati dai veti contrapposti, come accade invece nel Consiglio Europeo tra i capi di Stato e di governo degli Stati membri.
La differenza si vede nelle proposte e nelle decisioni. Sui rifugiati la Commissione Juncker ha proposto un sistema di solidarietà fondato sulla redistribuzione con quote obbligatorie, un controllo europeo delle frontiere esterne con la creazione di una Guardia di frontiera e di una Guardia costiera europea, una maggiore integrazione sul piano della politica estera e di difesa e il pieno rispetto del diritto internazionale. Ma su questi temi il potere decisionale resta nelle mani dei governi nazionali riuniti, che preferiscono affidarsi ad una Turchia che sta imboccando una via autoritaria, che sopprime la libertà di stampa e le minoranze. E tocca al Parlamento europeo avvertire che non si può scambiare l’accelerazione dell’adesione all’UE o i visti ai cittadini turchi, in cambio dell’impegno turco a sigillare le frontiere, che comunque rischia di venire disatteso.
Sulla politica monetaria invece è l’istituzione federale, la BCE, a decidere. Le decisioni – prese a maggioranza – della Banca Centrale per sostenere la ripresa economica sono l’ennesima dimostrazione della forza della democrazia e dell’importanza di avere istituzioni federali. Lascio agli economisti la discussione se la BCE abbia esaurito o meno i propri strumenti di intervento, ma osservo che negli ultimi anni questa opinione è stata riproposta più volte salvo venir sempre smentita dalla BCE, ove non mancano le competenze tecniche per individuare nuovi strumenti di intervento considerati più idonei alla situazione economica nella sua evoluzione. Dal 2008 ad oggi la BCE è stata l’istituzione europea che ha agito con maggiore tempestività ed efficacia, sfruttando lo spazio concesso dal suo Statuto e dal suo mandato, sebbene più ridotti e rigidi di quelli di altre Banche centrali. Perché al momento del dunque c’era sempre la possibilità di contarsi e prendere le decisioni a maggioranza, senza rimandare all’infinito.
Ma perché la crisi economica è più profonda e duratura nell’Eurozona che nelle altre aree del mondo, nonostante l’azione della BCE? La risposta non va ricercata nell’economia, ma nella politica. Nelle altre aree economiche del mondo l’azione delle Banche centrali ha accompagnato quella dei governi. Il problema europeo è l’assenza di un governo federale europeo dell’economia, l’insufficiente condivisione della sovranità, e quindi dei rischi, delle scelte di investimento, della costruzione del futuro. Senza questa consapevolezza si rischia di ricadere nei vecchi errori e di rivendicare ricette impraticabili, come l’idea di un deficit spending nazionale.
I Paesi con un alto indebitamento – che spesso sono anche quelli con un ciclo economico avverso e che avrebbero quindi maggiore bisogno di investimenti e sostegno – non possono permettersi deficit spending, rischiando la sanzione dei mercati, seppure attenuata dal Quantitative Easing della BCE. Abbiamo piuttosto bisogno di dotare l’Eurozona di un bilancio fondata su risorse proprie – ovvero su una vera fiscalità europea – e con la possibilità di emettere debito pubblico europeo. Data l’assenza di debito pregresso, si tratterebbe di un debito con tassi di interesse irrisori e altamente sostenibile. Ma ciò richiede una chiara politica economica europea volta a indirizzare gli investimenti là dove servono in termini di progetti di lungo periodo ad alto potenziale, e di localizzazione con finalità di convergenza e anti-cicliche.
L’UE affronta crisi gravi e rischi di disgregazione – a partire dalla Brexit – che richiedono politiche coraggiose. Il primo passo per realizzarle è il superamento dell’unanimità e la piena trasformazione della Commissione in un vero governo federale, almeno dell’Eurozona, con poteri fiscali e un bilancio adeguato, la possibilità di emettere debito pubblico per sostenere il Piano di investimenti – che è stata la prima iniziativa e priorità della Commissione Juncker – e la responsabilità della politica d’asilo e del controllo delle frontiere esterne.
Ciò permetterebbe anche all’azione della BCE di essere più efficace. Oggi il Quantitative Easing è vincolato alla capital key, alla proporzione di capitale versato dai diversi Stati membri. Ciò implica ad esempio che oltre il 20% degli acquisti deve essere di titoli tedeschi anche se non ce n’è bisogno, e che per un massimo del 2,5% di titoli portoghesi, e del 2,8% di titoli grechi. Questo costringe ad aumentare la dimensione complessiva del QE per riuscire ad affrontare gli attacchi contro Portogallo e Grecia rispetto a quanto sarebbe sufficiente se l’azione potesse concentrarsi nell’area di bisogno. La disponibilità di titoli dell’Eurozona e/o della Banca Europea degli Investimenti (BEI) finalizzati ad investimenti risolverebbe il problema. La BCE potrebbe acquistare titoli europei – fuori dalla capital key – e sarebbe poi il governo europeo a concentrare gli investimenti là dove serve, permettendo di raggiungere i migliori risultati con il minimo delle risorse.
Serve una vera condivisione europea della sovranità per concentrarsi sui risultati da ottenere e sui vantaggi complessivi invece che sui costi/benefici nazionali specifici, che portano a politiche sub-ottimali. Per mettere a frutto le potenzialità economiche dell’UE – che è pur sempre la prima economia, potenza commerciale, e centro di risparmio del mondo – e restituire ai cittadini europei il potere di decidere del proprio futuro, irrimediabilmente perso al livello nazionale, abbiamo bisogno di due istituzioni federali, dotate dei poteri e dei meccanismi decisionali necessari, come ogni altra area del mondo: la banca centrale e il governo.