Di ritorno da Ventotene
Flavio Brugnoli
Commento n. 74 - 1° febbraio 2016
In politica i simboli contano. La visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi all’isola di Ventotene, quel “tornare a casa, dove tutto è cominciato”, quei fiori deposti sulla tomba di Altiero Spinelli sono un messaggio importante, non solo per chi ha dedicato la propria vita alla costruzione di “un’Europa libera e unita”. Definire un’Unione europea scossa da dubbi esistenziali “il più grande successo politico del dopoguerra”, sostenere che “nessun muro può fermare la libertà”, sottolineare che la memoria si preserva costruendo ponti verso le nuove generazioni sono tutte affermazioni coraggiose. Ma, una volta tornati sulla terraferma, l’agenda politica nazionale e quella europea chiamano ad atti concreti, impegnativi e lungimiranti.
È un’azione che vede in prima fila il governo, ma che deve coinvolgere tutte le istituzioni e la società italiane. Essere cittadini italiani ed europei deve spronare a trarre il meglio da questa doppia cittadinanza. Più che a dibattiti a uso interno sul “ritorno dell’interesse nazionale” o sulla “fine del vincolo esterno”, è a una visione dinamica delle interdipendenze fra i due livelli che dobbiamo mirare. Dobbiamo agire con decisione su problemi e arretratezze che dipendono solo da noi, a livello nazionale, e che spesso hanno radici lontane; nel contempo, dobbiamo essere co-protagonisti in quello che dipende anche da noi, nella costruzione di un’Europa federale.
Oggi è chiaro a molti – tranne a chi ancora coltiva confuse illusioni su una “uscita dall’euro” – quello che era già ben chiaro in chi ebbe la lungimiranza di portare l’Italia nell’euro. L’ingresso nella moneta unica doveva essere per l’Italia non un punto di arrivo, ma di partenza: l’inizio di un percorso di modernizzazione del Paese, non il suo approdo. Da qui la necessità di un’agenda politica consapevole delle sfide che abbiamo davanti, nell’epoca della globalizzazione, rese ancor più grandi dalla crisi economica e finanziaria internazionale. I contenuti di quell’agenda sono al cuore del legittimo confronto democratico fra schieramenti politici. Ma la credibilità di quell’agenda è condizione necessaria per essere attori credibili su scala europea.
Il fatto che la visita di Renzi a Ventotene sia arrivata subito dopo l’incontro a Berlino con la Cancelliera Angela Merkel consente di mettere ben a fuoco la triplice crisi che stiamo vivendo: quella economica, quella dei migranti, quella dei conflitti alle porte dell’Europa. I dilemmi da affrontare sono davanti a tutti noi. Rigore nei conti pubblici e credibilità nelle politiche di rientro del debito, ma flessibilità nelle soluzioni possibili e nuove vie europee per ritrovare il sentiero della crescita. Ricerca di un equilibro fra gestione dell’emergenza rifugiati, che pone sotto stress governi e strutture nazionali, e consapevolezza che siamo di fronte a un cambiamento epocale, che durerà decenni (senza mai dimenticare – come ha detto Renzi a Ventotene – che “chi vuole distruggere Schengen vuole distruggere l’Europa”). Necessità di dare risposte coordinate su scala europea all’“arco di instabilità” che circonda l’Europa, dalla Libia, alla Siria, all’Ucraina – in cui anche il tema dell’energia gioca un ruolo chiave per la sicurezza del nostro continente.
Per rispondere a tutto questo, un ruolo di leadership da parte di alcuni governi europei rimane indispensabile. Il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, il 22 gennaio scorso, in occasione della consegna del Solenne Riconoscimento “Altiero Spinelli” da parte del Movimento Federalista Europeo, ha tracciato la rotta, con lungimirante saggezza europeista: “nel momento attuale, di così inquietanti spinte centrifughe, è indispensabile tener fermo innanzitutto il legame storico tra i paesi fondatori, e specialmente tra i maggiori, Italia, Germania, Francia. Questo resta il perno decisivo per reggere ogni scossa, per spingere più avanti l'unità europea (…)”.
Come cittadini europei dobbiamo anche chiedere alle istituzioni dell’Unione di giocare fino in fondo il loro ruolo. Una Commissione più politica, che gode della fiducia del Parlamento europeo (con una “grande coalizione” tra le forze europeiste), ha il compito di agire per l’interesse europeo, che non potrà mai scaturire dalla sommatoria di 28 interessi nazionali. Il Parlamento europeo è chiamato a promuovere il massimo d’integrazione possibile a trattati vigenti, a proporre le modifiche ai trattati necessarie per un’Europa federale, a evidenziare il collegamento fra un adeguato bilancio dell’Unione e dell’eurozona e un’Europa dello sviluppo e della coesione sociale. Gli Stati membri, nel Consiglio europeo e nel Consiglio, devono ricostruire la fiducia reciproca, perché il ritorno dei muri non darà ai loro cittadini né più sicurezza né più benessere. All’Alto Rappresentante europeo, Federica Mogherini, dobbiamo chiedere di lavorare a una “strategia globale dell’Ue” (che presenterà al Consiglio europeo nel giugno prossimo) che non sia una media al ribasso fra le timidezze e i ripiegamenti nazionalistici degli Stati membri. Per dirla di nuovo con le parole di Matteo Renzi a Ventotene: “Quando l’Europa perde il senso della propria vocazione e diventa un insieme di egoismi rischia di crollare”.
Ci attende un biennio con altri appuntamenti carichi di valenza simbolica: quest’anno il trentennale della morte di Spinelli; nel 2017 il sessantennale dei Trattati di Roma e i 110 anni dalla nascita di Spinelli. Sarebbe suicida ridurli a rituali autoconsolatori – o a pur suggestivi eventi come il carcere di Santo Stefano che comincerà una nuova vita quale centro di formazione europea per i giovani del Mediterraneo. Nella primavera del 2017 avremo un appuntamento cruciale, previsto dal Rapporto dei cinque Presidenti “Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa”, con il Libro bianco della Commissione sul passaggio dalla prima fase (“approfondire facendo”) alla seconda (“completare l’UEM”). Uno snodo fondamentale per chi ritiene che quello che manca al completamento della costruzione europea sia un’Unione politica dotata di risorse adeguate alla scala dei problemi che abbiamo di fronte.
Il tema dell’Europa a due velocità, evocato di recente dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, è da tempo in agenda. Lo stesso Consiglio europeo, nel giugno 2014, ha accolto la prospettiva della “integrazione differenziata”, che deve permettere ai Paesi “che intendono approfondire l’integrazione di andare avanti”. Il dibattito sulla Gran Bretagna e il suo rapporto con l’Ue deve essere un’opportunità per chi vuole andare avanti, non una zavorra da parte di chi non sa dove vuole andare. L’Italia si appresta anche a lanciare un messaggio sul futuro dell’Europa, insieme con gli altri Paesi fondatori. Un altro atto benvenuto e impegnativo, che dovrà indicare ambiziosi contenuti condivisi, in primo luogo per l’eurozona. Importante, per un impegno corale delle istituzioni italiane, rimane anche l’appello “Più integrazione europea: la strada da percorrere”, promosso dalla Presidente della Camera Laura Boldrini con i suoi omologhi francese, lussemburghese e tedesco, che sta riscuotendo adesioni da molti altri Parlamenti.
Il Presidente del Consiglio Renzi, in chiusura del suo appassionato discorso a Ventotene, ha ripreso la celebre frase che chiude il Manifesto: “La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!”. A Ventotene sono le radici e là è nato un progetto di pace che può ancora dare un senso e un orizzonte all’Europa. Ma un redivivo Altiero Spinelli si porrebbe anzitutto il problema politico di come rifondare nel presente e nel futuro quei valori, su quali alleanze politiche, sociali, culturali rimettersi in cammino. Si deve dire con chiarezza e coerenza come, con chi ed entro quando percorrere quella via, né facile né sicura. Il tempo si sta facendo breve, il rischio e i costi del fallimento più grandi.
* Direttore del Centro Studi sul Federalismo